PRUDENCE SHAW
PER L’EDIZIONE DEL VOLGARIZZAMENTO FICINIANO DELLA «MONARCHIA»
«La traduzione italiana, ch’or per la prima volta vede la luce, e ch’è opera del celebre Marsilio Ficino, il quale volle intitolarla a due suoi amici Bernardo Del Nero ed Antonio Manetti, è tratta dal Cod. 1173. Cl. VII. della Magliabechiana. Ed abbenché io l’abbia collazionata sopra altro esemplare, di cui mi fu cortese il Chiariss. Sig. March. Gino Capponi, essa sarebbe rimasa in più luoghi o guasta o mutila o inintelligibile per colpa più degli amanuensi che di lui che dettolla, se io con un po’ di critica e col soccorso del testo latino non l’avessi raddirizzata e corretta. Nel che fare ho usato tal parsimonia e tal diligenza che io sono per credere non sia per esservi alcuno, che vorrà farmene rimprovero, anzi sapermene qualche grado, tanto piu s’egli prenda in esame le correzioni da me eseguite, le quali se non tutte almeno nella massima parte ho stampate in carattere corsivo, affinché possano a prima vista conoscersi».
Così il Fraticelli nella premessa alla sua edizione della Monarchia, accompagnata dal volgarizzamento ficiniano, pubblicata nel 1839.[1] Il lettore è invitato a pensare che questo è un testo fededegno, con pochi interventi editoriali, quasi tutti segnalati in corsivo. Ma in realtà anche quando gli interventi sono segnalati, non è affatto chiaro di che tipo di intervento si tratti; e inoltre moltissimi interventi importanti non sono segnalati. A. Interventi segnalati. Gli interventi segnalati in corsivo sono di vari tipi, che l’editore non si preoccupa di distinguere: a) giunte dove il testo volgare è lacunoso, a fine di farlo corrispondere al testo latino (e queste costituiscono il gruppo più cospicuo degli interventi segnalati). Per es.: + affinché io dica nella forma e secondo l’intenzione + (I, ii, 1, 2-3)[2] + analiticamente + (I, ii, 4, 13) + quello, ch’é un tale ultimo, essendo il costitutivo della specie, ne seguirebbe che una essenza + (I, iii, 5, 26-7) + ne l’essere animato, perché così è ancora nelle piante + (I, iii, 6, 31-2) b) giunte dell’editore per chiarire il senso o per fare uno stile più scorrevole. Per es.: il Vicario +di Dio ch’è il predicato+ (III, vii, 3, 14), +conforme alle+, +poco innanzi+, +ora+, +giammai, ma+, +imperocché+, +per conseguenza+, +ancora+ c) sostituzione di una versione preferita dal Fraticelli, a fine di dare un testo più chiaro, più elegante, ecc. Per es.: Imperciocché se considereremo per Considera questo nello l’uomo individuo, vedremo in lui huomo, nel quale (I, v, 4, 14 avvenir questo: che come 5) negativamente per destruendo (III, vi, 7, 28) femmina e prigioniera per la donna presa (II, iv, 10, 45) B. Interventi silenziosi. NELLE CITAZIONI. Il Fraticelli adopera il corsivo sia per le citazioni che per gli interventi editoriali, e perciò gli interventi eseguiti dall’editore all’interno di una citazione (e sono molti) sono per forza silenziosi (essendo l’edizione del tutto sprovvista di note). Qualche esempio farà vedere la gravità del problema. In I, xiii, 3 si cita Aristotile. Nella versione ficiniana manca una frase che corrisponda al latino: quod si aliter aliquid agere conetur, frustra conatur. (Queste parole non fanno parte della frase citata nell’edizione del Ricci, ma in edizioni ottocentesche del testo latino erano trattate come una parte della citazione). Allora, essendo il volgarizzamento lacunoso, il Fraticelli aggiunge: lo che se altri in altro modo si sforzi di fare, invano si sforza; ma siccome l’intera citazione è stampata in corsivo, è impossibile sapere che questa frase è stata aggiunta dall’editore. Questa è infatti una lacuna che serve a stabilire l’esistenza della farniglia β, essendo presente in tutti i manoscritti meno A e T (e K, l’editio princeps). Dall’edizione del Fraticelli sarebbe logico concludere che la versione ficiniana avesse dei rapporti con la famiglia α, conclusione sbagliatissima. Altre citazioni presentano degli interventi editoriali altrettanto cospicui e silenziosi. A volte si tratta della semplice sostituzione di una parola (per es. uomo per animo nella citazione di Giovenale in II, iii, 4), ma almeno una volta il carattere della traduzione viene alterato: in II, viii, 9 il Fraticelli ci dà una versione latineggiante delle parole di Lucano: O ultima peritura e degenere prole della stirpe Lagea, invece della versione molto più espressiva del Ficino: Ho hultima generatione della stirpe Lagea, che presto perirai, che·sse’ inbastardito. NEL TESTO. Moltissimi interventi nel testo non sono affatto segnalati. Questi possono in linea di massima dividersi in due gruppi, quelli che riguardano il senso del testo, e quelli che riguardano il suo carattere linguistico. I) Interventi che riguardano il senso del testo, e che generalmente rappresentano un tentativo di aggiustarlo per farlo corrispondere al testo latino. Sono piccoli interventi, nel senso che in genere si tratta di una o poche parole, ma spesso sono decisivi per quanto riguarda il problema del rapporto del volgarizzamento con la tradizione latina. a) giunte. Per es.: + essere avvolto nelle tenebre dell’ + (II, ix, I, 2-3) + per la differenza della sopraposizione + (III, xi, 11, 59-60) b) sostituzioni. Per es.: dono per bene (I, xii, 6, 25-6) Mattia per Matteo (II, vii, 9, 43) l’obiezione per costui (II, ix, 11, 56) Egli ha per Io ho (III, i, 1, 1) Giobbe per Jacob (III, iv, 11, 53) incompetente per inconveniente (III, xii, 6, 35) opinata per hordinata (III, xiv, 9, 34) penne di corvi per pelo di cervio (III, iii, 17, 70) delitti per vitii (III, iii, 17, 71) prostituiscono per prosternano (III, iii, 17, 72) c) omissioni, cioè quelle parole e frasi presenti nella tradizione manoscritta del volgarizzamento, ma eliminate dal Fraticelli. Non sono segnalate per forza, dato che l’unico metodo adoperato per segnalare gli interventi è il corsivo. Per es.: [come gà io dissi nel Paradiso della mia Commedia] (I, xii, 6, 26-7) [militari] (II, vii, 5, 24) [inperò che dov’egli è adenpiuto] (II, xi, 3, 17-8) II) Interventi che non riguardano il senso del testo, ma alterano il carattere linguistico di esso. a) giunte per fare uno stile più scorrevole. Per es.: +poi+, +allora+, +adunque+, +laonde+, +e quindi+, +dunque+, +infatti+, +punto+, +ma+, +pure+, +perciò+, +cioè+, +pur nonostante+, +così+ b) sostituzioni per eliminare i residui latini. Per es.: così per item (I, xii, I, I) inoltre per item (I, vii, I, I, e I, xi, 17, 80) ancora per item (I, XIV, 3, 12) ancora per etian (III, X, 13, 63) eziandio per etian (II, X, I, 7) c) sostituzioni per normalizzare lo stile. Per es.: e quindi per secondario (I, iv, 1, 3) secondariamente per secondaria (II, ii, 3, 22) sommariamente per in somma (II, iii, 7, 27) minor per meno [adoperato come agg.] (II, vii, 2, 9) loro per sua e suoi (I, x, 2, 5 e altrove) d) sostituzioni per elevare lo stilo. Per es.: egli per lui (passim) eglino per loro (passim) e) sostituzione di una parola o frase preferita dal Fraticelli per motivi che a volte rimangono oscuri. Per es.: volere per vighore (II, iv, 1, 5) con maraviglia Livio fa per si maraviglia Livio dicendo (II, testimonianza v, 15, 82) che per altro io stimo per e quali pure credo (III, iii, 9, 33-4) fondano nella loro prevalenza le per ma costoro credo sperando proprie speranze che·lla facultà loro prevaglia (III, iii, 9, 34-5) nella guisa che per in tal modo come fa (III, xiv, 7, 25) Il testo del Fraticelli è allora inutilizzabile dallo studioso d’oggi, inutilizzabile per chi vuole conoscere il testo del Ficino nella sua veste genuina, e inutilizzabile ai fini di ricostruire il manoscritto latino da cui fu tratto il volgarizzamento e di indagare i suoi rapporti con la restante tradizione latina.[3] Purtroppo il testo del Fraticelli rimane la base di tutte le seguenti edizioni fino al giorno d’oggi. Per dare un’idea adeguata di questa situazione, basta notare che tutti gli esempi di interventi fraticelliani riportati finora sono rimasti nelle edizioni più recenti del testo.[4] Queste edizioni sono, se mai, meno fededegne dell’edizione del 1839, nel senso che lì almeno una parte degli interventi è segnalata. Le nuove edizioni non sono identiche alIa prima edizione, perché ognuna introduce un manipolo di nuove lezioni rispetto a quel testo, ma sono talmente simili che è difficile dire che si tratta di edizioni nuove, perfino nel caso del Torri, l’unico che abbia fatto ricorso ad un manoscritto diverso da quello adoperato dal Fraticelli. Gli interventi del Fraticelli sono accettati, con alcune piccolissime eccezioni, in tutte queste edizioni, ma diventa sempre più difficile riconoscere questi interventi come tali. Gli interventi silenziosi rimangono silenziosi; quelli segnalati dal Fraticelli sono ormai segnalati soltanto in parte, e, alla fine, non sono segnalati affatto. Già nell’edizione del Torri del 1844 almeno trentacinque degli interventi stampati in corsivo dal Fraticelli non sono più segnalati. Nell’Introduzione alla sua edizione del 1844 [5] il Torri si dimostra consapevole del fatto che il manoscritto da lui seguito era più autorevole di quello adoperato dal Fraticelli: «E debbo qui render giustizia al [ ... ] cultissimo sig. Pietro Fraticelli di Firenze, cui essendo piaciuto il mio divisamento di accompagnare al testo latino la traduzione del Ficino, se ne disimpegnò colla diligenza somma ch’egli suol porre in siffatti studj; e se non gli avvenne sempre di raggiungere tutta l’esattezza, ciò dee attribuirsi al Codice Magliabechiano da lui seguito, men buono del Mediceo-Laurenziano che ora per me si produce; e del quale, per dare tutto il merito dovuto all’egregio mio amico, m’è d’uopo dire che sovente intravide colla sua critica sagacità alcune genuine lezioni, avendone anche sanato più altre colla scorta del testo originale; come a me pure fu dato in appresso di avvertirne parecchie bisognose d’emenda, a distinguere le quali tutte si fece uso talvolta di carattere tondo, ma più spesso degli asterischi, ove non vennero indicate nelle note». Da queste parole si potrebbe concludere che il Torri avesse rifatto l’edizione da capo, tenendo presenti, certo, le conclusioni del Fraticelli, ma confezionando un’edizione del tutto indipendente dalla sua. Ma non è così. Il metodo seguito dal Torri era, senza dubbio, quello di prendere il testo del Fraticelli come punto di partenza, confrontarlo col testo del codice Laurenziano, e emendare dove il testo del Fraticelli non corrispondeva al testo del codice Laurenziano perché il codice Magliabechiano era lacunoso o scorretto. Così il testo riporta alcuni effettivi miglioramenti rispetto al testo del Fraticelli, ma sono pochi; mentre i numerosissimi interventi dell’editore fiorentino che non hanno nessun appoggio nella tradizione manoscritta sono accettati nel testo dal Torri (e con un notevole aumento nel numero dei non-segnalati, come abbiamo detto). È chiaro inoltre che la paternità degli interventi non è facilmente intuibile dal lettore. Qualche volta il Torri spiega in nota la sua posizione rispetto ai codici e all’edizione fiorentina, ma le note sembrano arbitrarie, e a volte sono erronee. Così, nonostante il fatto che il Torri avesse fra le mani il manoscritto più autorevole del volgarizzamento ficiniano, la sua edizione rimane un testa inattendibile. L’edizione del Fraticelli è stata ristampata a Firenze nel 1841,[6] quella del Torri a Torino nel 1853.[7] Il testo della seconda edizione del Fraticelli è identico a quello della prima, sebbene questa volta il corsivo serva per il testo e il carattere tondo per gli interventi. Il testo dell’edizione torinese (che non è stata curata dal Torri, ma che riproduce il testo dello studioso veronese sia per il latino, sia per il volgare) riporta un’unica e non significativa variante rispetto all’edizione del 1844.[8] Erroneamente il frontespizio parla della «terza edizione» del volgarizzamento: evidentemente si tratta della quarta. Fin qui le due edizioni si sono mantenute indipendenti, anche se è chiaro che sono molto simili. Sin dal momento che il Fraticelli accetta nel suo testo emendazioni del Torri – come fa quando si mette a ripubblicarlo nel 1855 – viene a formarsi un testo che possiamo definire “composito”, e di questo testo “composito” le ristampe si moltiplicheranno per tutta la seconda metà dell’Ottocento. L’edizione del Fraticelli del 1855,[9] infatti (dove per la prima volta il volgarizzamento è stampato senza il testo latino), non è semplicemente una ristampa del testo del 1839. L’editore ci ha incorporato un certo numero delle lezioni che il Torri aveva mostrato di preferire, fra cui possiamo segnalare le seguenti giunte e sostituzioni più significative: + produce tutta la mano, e altro al quale + (I, iii, 2, 5-6), + che sono + (I, xii, 2,10), + Dice suo, cioè dell’Affrica, perché di essa parlava + (II, iii, 13, 62-3), + a’ Romani + (II, ix, 15, 82), + a dar consiglio e + (II, ix, 20, 10), + come per se è chiaro + (I, viii, 4, 17-8); attribuito per conferito (I, xii, 6, 26), prudenza per Empedocle (I, xiv, 4, 24), essere per che sieno (II, vi, 7, 36), fatato per stabilito (II, viii, 11, 56), persuase per persuade (II, x, 10, 45), la minore, la maggiore per la maggiore, la minore (III, viii, 4,15), l’ambito per l’abito (III, xi, 6, 31-2 e 32), divina per sua (III, xv, 15, 73). Ma non tutti i suggerimenti del Torri vengono accettati: in alcuni punti il Fraticelli preferisce conservare la lezione già da lui proposta nell’edizione del ’39; e inoltre introduce qualche nuova variante, frutto degli ulteriori lavori compiuti intorno al testo di Dante – per es. nel +primo del+la Metafisica (I, xii, 8, 32); quinto per primo (I, xv, I 2) – o specchio di una sua preferenza stilistica rispetto ad un’emendazione del Torri – per es. Ed a questo vien molto aiuto ... da invece di E a questo molto aiuta [Torri] e di E questo ha molto aiuto ... da [Fraticelli 1839] (II, vi, 6, 30). È sempre possibile, tramite queste lezioni, distinguere il testo “composito” dal testo del Torri; e perciò si può stabilire con certezza se le seguenti edizioni derivino dall’una o dall’altra (nessuna si rifà direttamente all’edizione del ’39 e tanto meno alla tradizione manoscritta). Un fatto rilevante è che con questo testo l’editore rinuncia addirittura a voler segnalare i suoi interventi, sia quelli che risalgono al ’39, sia quelli ereditati dal Torri, sia quelli nuovi. II testo rappresenta il risultato di un processo cumulativo di interventi editoriali, ma nessuno dei vari strati di emendazioni è riconoscibile come tale. La premessa originaria (da noi citata a p. 927) è ristampata con qualche leggero ritocco, e senza il periodo finale; a suo posto troviamo una nota che dichiara: «Tali correzioni furono infatti approvate, e nella massima parte adottate nella succitata stampa del Torri, ove in apposite note sono state tutte riferite, ed ove potrà riscontrarle chi fosse vago di vederle». Infatti da questo punto in poi gli interventi di cui ci siamo finora occupati, e di cui abbiamo dato solo un esiguo campionario, non sono più segnalati in nessuna edizione.[10] Il testo stampato dal Fraticelli nella sua edizione del 1857 [11] è identico [12] a quello del 1855, ma è di nuovo presentato col testo latino a fronte. L’edizione del 1861 è una riproduzione stereotipa di quella del 1857; così pure le edizioni stereotipe del 1873 e del 1887.[13] Cinque sono le edizioni novecentesche del volgarizzamento ficiniano. Fra questi editori due soli spiegano l’origine del testo da loro stampato; ma negli altri casi l’analisi minuta ci ha permesso di stabilire con certezza la loro provenienza. Di queste edizioni la prima è basata sul testo del Torri 1853; la seconda sul testo del Torri 1844; la terza sul testa “composito” del Fraticelli 1855; la quarta sul testo del Torri 1844; e la quinta anch’essa sul testo del Torri 1844. Così non abbiamo più un processo cumulativo, ma una serie di ricorsi indipendenti alle edizioni ottocentesche del volgarizzamento. Due degli editori introducono ulteriori emendamenti nel testo che pubblicano, ma il criterio che prevale è sempre quello dell’aderenza al testo latino, e mai quello del ritorno alla tradizione manoscritta. La prima di queste edizioni è quella della Casa Editrice Sonzogno, pubblicata a Milano nel 1905.[14] II curatore (anonimo) non dichiara la provenienza del testa da lui adoperato, e tanto meno spiega i criteri dell’edizione, limitandosi ad un annuncio brevissimo: «Dopo la volgarizzazione fattane da Marsilio Ficino (che è quella appunto che presentiamo ai nostri lettori) il trattato di Dante ebbe larga diffusione [ … ]». Un esame attento pero rivela che il testo e le note sono quelli dell’edizione torinese del 1853 della versione del Torri. Infatti è presente quell’unica variante che distingue il testo del 1853 da quello del 1844, e quelle stesse note leggermente ritoccate e abbreviate. L’editore del 1905 introduce, senza spiegazione, una nuova variante a II, vi, 10, dove mette facilmente invece di sottilmente (per subtiliter), e, in più, qualche errore tipografico. Sostituisce agli asterischi del testo Torri le parentesi a punte, ma senza accennare al loro significato: diventano così un vezzo tipografico assolutamente senza senso. L’edizione è stata ristampata, sempre a Milano, nel 1926.[15] La seconda delle edizioni novecentesche è quella del Passerini, pubblicata nel 1912 nel quarto volume della sua edizione delle Opere minori.[16] Il testo è ripreso direttamente dall’edizione del Torri, come l’editore avverte nella premessa all’opera; ma non allude agli interventi del Torri sul testo, elimina le sue note, e non conserva gli asterischi e il carattere tipografico distintivo che potrebbero segnalare (pur inadeguatamente) al lettore che si tratta di emendazioni. L’edizione non è stata ristampata. La terza edizione novecentesca è quella del Bianchi, apparsa per la prima volta nel 1930,[17] poi ristampata nel 1938 (nella collana «I Classici del Giglio») e nel 1964 (nella collana «I Grandi Classici»). L’editore dichiara nella Nota introduttiva: «E s’intende che là dove la traduzione non corrispondeva più alla lezione, ora criticamente stabilita, del testo, non ci siamo fatti scrupolo di modificare o di correggere». Non sorprende trovare alcuni interventi fatti per accordare il testa volgare col nuovo testo latino dell’Edizione Nazionale del ’21, come per es. precede per produce (I, xv, 1, 3), ministerio per misterio (I, xvi, 2, 13), gloria per grazia (II, xi, 3, 15), e animo per uomo (II, iii, 4, 12). Altri sono fatti collo scopo di chiarire il senso, per es. universalmente, a dir così, e idealmente invece di affinché io dica nella forma e secondo l’intenzione (che, si ricorderà, non era del Ficino ma del Fraticelli). Ma nessun accenno alla provenienza o al carattere del testo adoperato, che è quello del Fraticelli 1855. La quarta edizione novecentesca, che fa parte di una «Collezione di testi di orientamenti educativi», è uscita a Roma nel 1943.[18] Il curatore (anche questa volta anonimo) premette una brevissima Introduzione dove spiega: «Noi riproduciamo l’edizione edita, a Livorno, nel 1844, per i tipi degli artisti tipografi, a cura del veronese Alessandro Torre [sic], sul codice Mediceo-Laurenziano». Aggiunge poi la seguente nota: «N. B. I membretti fra gli * mancano nel codice Magliabechiano seguito dal Fraticelli; sono invece nel codice Mediceo-Laurenziano, seguito da Alessandro Torre [sic]. II membretto fra – (II, 3) è stato aggiunto dal traduttore». Queste parole ci forniscono una chiarissima conferma del fatto che le convenzioni tipografiche adoperate dal Torri per indicare le emendazioni erano confusionarie e poco coerenti, perché infatti gli asterischi nell’edizione del 1844 servono per indicare normalmente quelle aggiunte al testo fatte dall’editore (nella maggioranza dei casi il Fraticelli) con nessun appoggio manoscritto, e una sola volta, segnalata in nota, una lacuna del codice Magliabechiano riempito dalla testimonianza del codice Laurenziano. L’edizione, essendo scolastica e di poche pretese, omette i1 testo latino e tutto l’apparato erudito del Torri (Introduzione, Preliminari, Appendice, Tavole, Indice, ecc.). L’edizione più recente della versione ficiniana è apparsa nel 1965 nel volume complessivo delle Opere di Dante che fa parte della collana «I Classici italiani»,[19] dove è stampata in fondo al volume con le traduzioni delle altre opere latine. Questa edizione, che è stata curata dal Chiappelli, riproduce sostanzialmente il testo del Torri,[20] benché l’editore non lo avverta. Dichiara semplicemente: «Ne diamo qui (integrata con gli stessi criteri da noi adottati per la versione trissiniana del De vulgari eloquentia) la traduzione di Marsilio Ficino [ ... ] ». Queste parole ci rimandano alla nota sulla traduzione del De vulgari eloquentia, dove leggiamo: «Per una migliore e più aderente interpretazione del pensiero dantesco abbiamo inoltre preferito, a secondo dei casi, integrare la versione trissiniana o, nei passi più incerti, dare in nota la traduzione secondo l’edizione critica [ ... ] ». Queste “integrazioni” consistono nella maggior parte di giunte al testo per renderlo aderente all’originale latino, e sono normalmente segnalate con le parentesi quadre. Inoltre, in una decina di note la versione del Ficino è dichiarata inesatta (perche basata su un testo corrotto), e una «traduzione secondo l’edizione critica» è proposta. Ma due volte la lezione proposta è infatti la lezione genuina della versione ficiniana, cambiata dal Fraticelli (seguito dal Torri) in una lezione sbagliata; [21] e oltre agli interventi segnalati con le parentesi ci sono vari piccoli interventi non segnalati affatto, e non tutti facilmente spiegabili; fra cui possiamo annoverare le seguenti giunte, sostituzioni e omissioni: + si potrà veramente dire che abbia atteso + (II, v, 4, 18), + come si diceva precedentemente + (II, v, 20, 122-3), + fosse + [inesplicabile] (III, ix, 8, 38), + con morso e + (III, xv, 9, 45); massime per hottime (I, xii, 7, 29), di più per due (I, xiv, 3, 15), memoria per sententia (II, v, 11, 60), il che per la quale cosa (II, v, 20, 122), premio per imperio (II, viii, 5, 24), fatale per fatato (II, viii, 11, 56), volontà per verità (II, ix, 11, 54), sede per sedia (II, ix, 13, 65), condonata per perdonata (II, ix, 14, 72), sciogliere per solvere (III, iv, 5, 28); [gloria et] (II, v, 7, 41), [di poi] (II, ix, 2, 9), [disse] (III, ix, 6, 28), [et le cose] (III, xv, 9, 43), [e questa hunità dipende da uno] (I, xv, 8, 42), [che può Piero, adunque el successore di Piero può tutte le cose scorre et leghare] (III, viii, 3,12-3). Così quest’edizione recentissima non soltanto non avverte l’origine editoriale di tante sue lezioni (tutte quelle ereditate dal Fraticelli e dal Torri), ma aggiunge una nuova serie di lezioni arbitrarie e non segnalate. Insomma, non sembra troppo ardito affermare che le più recenti edizioni del testo sono le meno fededegne, e che il testo più vicino all’originale (sebbene sempre lontanissimo) è quello del 1839. Per scrupolo di completezza notiamo che alcuni brani della versione ficiniana sono citati nel volume Pensieri, Livorno I921? [sic] [22] dove leggiamo «Alle massime tolte dal testo dantesco del Convivio seguono nella classica versione di Marsilio Ficino quelle tratte dal De Monarchia [ ... ] ». La frammentarietà dei brani citati non permette di determinare quale sia l’edizione adoperata dall’editore. In fine escludiamo dalle nostre critiche l’eccellente edizione, fatta con scrupoloso metodo scientifico, del solo Proemio, pubblicata dal Kristeller nel secondo volume del suo Supplementum Ficinianum, Firenze 1937 (pp. 184-5). Il lavoro compiuto dallo studioso permette di intuire gia un gruppo di codici deteriores entro la tradizione completa dei manoscritti della versione volgare. Per tirare le somme, possiamo dire che il volgarizzamento del Ficino è stato visto più come uno strumento chiarificatore – non a caso in quasi tutte le edizioni appare accompagnato dal testo latino – che come un testo con un suo interesse e valore autonomo e indipendente. Il volgarizzamento, cioè, è visto in funzione del testo latino, ed è subordinato ad esso. In tutte le edizioni esaminate, gli editori sono intervenuti prima per accordare il volgarizzamento col testo latino, e poi per rendere più chiaro il senso del testo (e perciò evidentemente dell’originale). Così si spiega il continuo lavoro editoriale sulla versione volgare man mano che il testo latino viene stabilendosi più autorevolmente nelle successive edizioni, e il fatto che non viene in mente a nessun editore dopo il Torri di ritornare alla tradizione manoscritta. A volte per puro caso un intervento rappresenta un ritorno alla lezione dell’originale ficiniano (quando, per es., il Bianchi sostituisce animo a uomo in II, iii, 4 o precede a produce in I, xv, 1, 3), ma nessun editore ne è consapevole. Nessuno, si può dire, si pone il problema. Ma dall’altra parte il criterio dell’aderenza al latino non è seguito con coerenza fino in fondo: il lavoro di accommodazione è parziale e incompleto, e il testo che ne risulta e, ogni volta, un compromesso, un testo che non è certo la versione ficiniana, ma che non è nemmeno uno specchio fedele dell’originale latino. Se gli editori del volgarizzamento sono stati troppo fiduciosi nei riguardi del testo offerto dal Fraticelli e dal Torri, non si sono mostrati più scettici gli editori del testo latino. La versione ficiniana è stata subito accettata come un testimone antico e autorevole, che poteva dar lume sul testo latino, anche da editori che non si erano interessati direttamente ad essa. Il Witte, per esempio, nella sua edizione [23] cita costantemente la versione ficiniana come controllo del testo, e non si accorge che tante volte le parole riportate sono del Fraticelli e non del Ficino (del Fraticelli 1855, per essere precisi). [24] E così s’e creato un circolo vizioso: il testo volgare è citato come conferma della bontà di una lezione latina anche quando precedentemente è stata cambiata appunto per corrispondere a quel testo. Il Ricci, nel suo resoconto della storia della costituzione del testo latino, [25] ha mostrato quanto sia stato dannoso il mito dell’«oracolo» Ficino, dannoso perché la versione volgare è stata tratta da un codice latino non buono. Noi speriamo di aver mostrato in più che in realtà si tratta tante volte non dell’oracolo Ficino, ma dell’oracolo Fraticelli. Concludiamo la nostra rassegna con un ultimo e assurdo (ma tipico) esempio della leggerezza con cui la testimonianza dei manoscritti (latini e volgari) veniva trascurata e perfino travisata. Il Torri, in una pagina di Emendazioni ed aggiunte in fondo alla sua edizione, dichiara che ha omesso l’inciso «Come già io dissi nel Paradiso della mia Commedia», perché, egli afferma, queste sono «parole sicuramente aggiunte dal Traduttore, niente di ciò esistendo ne’ Codici latini».[26] In realtà, si sa, le parole citate sono presenti in tutti i manoscritti latini. [27] Cosi, col criterio dell’aderenza al testo latino, lo studioso cambia liberamente il testo volgare anche quando effettivamente la tradizione latina appoggia la lezione che non gli va a genio. Il Witte, a sua volta, cita l’assenza della frase nella versione del Ficino come conferma della bontà della lezione. [28] È nostra intenzione preparare un’edizione critica del volgarizzamento, basata sull’intera tradizione manoscritta del testo (undici unità in tutto), prescindendo completamente dall’originale latino e dal problema del rapporto del volgarizzamento con esso. Così speriamo in primo luogo di recuperare una versione fedele e accurata del volgarizzamento ficiniano. È chiaro inoltre che il testo ripristinato sarà un testimone autentico che può essere utilizzato negli studi testuali sul trattato latino. Attraverso il volgarizzamento sarà possibile ricostruire il manoscritto latino da cui fu tratto, manoscritto, come un esame preliminare ha già precisato,[29] che non è da riconoscere in nessuno dei manoscritti latini ancora esistenti. In secondo luogo, quindi, speriamo di poter meglio delineare una certa zona della tradizione manoscritta latina, anche se sono prevedibili delle difficoltà dovute al fatto che il Ficino traduce a senso e non a lettera, e spesso molto liberamente. Il testo ha perciò un duplice interesse: il suo interesse intrinseco, come versione del trattato dantesco fatta da uno degli uomini più dotati del Quattrocento; e il suo interesse strumentale, come mezzo per approfondire la conoscenza della situazione testuale del trattato latino. Un’edizione critica ci permettera di documentare un capitolo interessante nella storia della fortuna della Monarchia. NOTES 1 Dantis Aligherii De Monarchia, Libri III, cum italica interpretatione Marsilii Ficini nunc primum in lucem edita, Florentiae, Typis Allegrini et Mazzoni, 1839 (Opere minori di Dante Alighieri, a cura di P. I. Fraticelli, vol. III). 2 Avvertiamo che tutti i rimandi sono all’edizione critica del testo latino curata da P. G. Ricci (Milano 1965). 3 Una simile conclusione è stata raggiunta da P. G. Ricci (ed. cit., p. 102, nota 1) a proposito dell’edizione del Torri, ma lo studioso non precisa che la maggior parte degli interventi del Torri deriva direttamente dal FraticelIi («Non del Ficino, ma del Torri sono pertanto molte lezioni [ ... ] »). 4 Coll’unica eccezione della citazione di Giovenale in II, iii, 4, dove l’edizione del Bianchi del 1930 riporta la lezione giusta animo, corrispondente al recupero della lezione latina corretta nell’Edizione Nazionale del ’21. Non si tratta pero evidentemente di un ritorno alla tradizione manoscritta volgare. Stranamente, l’edizione del Chiappelli del 1965 ha sempre uomo invece di animo. 5 Dante Alighieri, La Monarchia [ ... ] col volgarizzamento di Marsilio Ficino, tratto da codice inedito della Mediceo-Laurenziana di Firenze con illustrazioni e note di diversi, per cura del dottore Alessandro Torri veronese, Livorno 1844 (Delle prose e poesie liriche di Dante Allighieri. Prima edizione illustrata con note di diversi, vol. iii. La Monarchia). 6 Dante Alighieri, Le Egloghe Latine, I Trattati del Volgar Eloquio e della Monarchia, e le Epistole, con dissertazioni e note a tutte le opere minori, Firenze 1841 (Le opere minori di Dante, vol. VI, a cura di P. I. Fraticelli). 7 Dante Allighieri, La Monarchia, tradotta in volgare da Marsilio Ficino, Volume unico, Torino 1853 (Società Editrice della Biblioteca dei Comuni Italiani). Il Ricci parla di quest’edizione come se fosse del Fraticelli (ed. cit., p. 26), ma l’analisi del testo conferma che si tratta del testo del Torri. 8 Si tratta della giunta delle parole *tutti o perché* fra perché e alcuni di loro ottenebrati in III, xv, 14, 68, accompagnata da questa nota: «Le parole comprese fra i due asterischi mancano nell’edizione livornese. Noi le abbiamo aggiunte sulla scorta dell’originale latino, e perché diversamente la versione sarebbe qui monca. ED. TOR. ». (Infatti l’edizione del Fraticelli, conforme alla lezione dei manoscritti, legge: o perché tutti loro o perché alcuni di loro). Notiamo inoltre che alcune delle note del Torri sono state leggermente abbreviate o ritoccate in quest’edizione. 9 Dante Alighieri, Opere minori, precedute da discorso filologico-critico di P. I. Fraticelli e con note e dichiarazioni dello stesso, del Trivulzio, del Pederzini, del Quadrio EC, Napoli 1855. 10 Non sono eccezioni le due modestissime edizioni che conservano gli asterischi o un loro equivalente: l’una non offre nessuna spiegazione di questa convenzione tipografica, l’altra invece offre una spiegazione completamente sbagliata (vedi pp. 935 e 936). 11 Dante Alighieri, La Vita nuova, i trattati De Vulgare Eloquio, De Monarchia e la questione De Aqua et Terra, con traduzione delle opere scritte latinamente, e note e illustrazioni di Pietro Fraticelli, Firenze 1857 (Opere minori di Dante Alighieri, vol. II). 12 Viene eliminato qualche erroruzzo tipografico. 13 Altre ristampe stereotipe dell’edizione del 1857 sono elencate nel Primo Catalogo Collettivo delle Biblioteche Italiane, vol. 3, Alda-Almed, Roma 1965 (pp. 165-9). Abbiamo potuto controllare personalmente soltanto le edizioni del 1861, del 1873, e del 1887. 14 Dante Allighieri, Della Monarchia, Milano 1905 (Società Editrice Sonzogno. Biblioteca Universale). 15 Non abbiamo esaminato la seconda edizione, ma, trattandosi di un’edizione economica e di modeste pretese, sarà con ogni probabilità identica alla prima. 16 Dante Alighieri, Opere minori, nuovamente annotate da G. L. Passerini, IV. Il trattato Della Monarchia o dell’Impero, Firenze 1912. 17 Dante Alighieri, Opere minori, Firenze 1930. 18 «De Monarchia» di Dante tradotta in lingua toscana da Marsilio Ficino, Roma 1943 (Edizioni «Giovanissima »). 19 Dante Alighieri, Opere, a cura di F. Chiappelli, Milano 1965 («I Classici italiani», vol. I). 20 Nei pochissimi punti dove riporta lezioni del Fraticelli 1855 (per es. quinto per primo in I, xv, 1, 2) queste si spiegano facilmente come interventi indipendenti del Chiappelli fatti per accordare il testo col testo latino del ’21. 21 Vedi p. 996, nota 41: «Il testo virgiliano avendo correttamente vocavit va tradotto “chiamò” e non chiamerà [Ma Ficino: chiamava], e p. 996, nota 46: «La corretta lezione del testo, al principio del periodo, è declarata, non declaranda come traduce il Ficino; l’affermazione è dunque “Due cose sono dimostrate”» [Ma Ficino: Due cose sono dichiarate]. 22 Così è segnalato nel Primo Catalogo Collettivo delle Biblioteche Italiane, vol. 3, Alda-Almed, cit., dove è siglato 3.4445. 23 Dantis Alligherii, De Monarchia, Libri III, Codicum manuscriptorum ope emendati per Carolum Witte, Vindobonae 1874. 24 Per es. p. 23 note 26-7; p. 28 nota 25; p. 61 nota 25; p. 92 nota 13; p. 113 nota 4; p. 115 nota 35; p. 126 note 42-3; p. 136 nota 16. Altrettanto importanti sono i moltissimi casi dove, senza citare direttamente le parole del volgarizzamento, l’editore lo mette in rapporto (erroneamente) con una certa lezione latina, come fa, per es., a p. 57 nota 1; p. 59 nota 34; p. 72 nota 54; p. 80 nota 11; p. 89 nota 13; p. 97 nota 3 ; p. 98 nota 26; p. 102 nota 88; p. 127 nota 46; p. 128 nota 64; p. 136 nota 18. 25 P. G. Ricci, ed. cit., pp. 29-35. 26 A. Torri, ed. cit., p. 180. 27 Vedi P. G. Ricci, ed. cit., pp. 158-9 note 26-7. 28 C. Witte, ed. cit., p. 23 note 26-7: «Commemorationem Comoediae neque Ficinus habuit, nec habuerunt primi huius operis editores». 29 In SD XLVII (1970), pp. 115-24. CLICK HERE to return to 'Other Publications'. |